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Non è tutto verde ciò che è ESG

Scritto da  Moneysurfers

 

Non è tutto verde ciò che è ESG


23 aprile 2021

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2 minuti di lettura

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Cosa leggerai in questo articolo

    Make money while you sleep! Gli americani adorano questa frase, che rappresenta perfettamente il concetto di entrata passiva, o entrata automatica.

    Cosa sono le entrate passive o automatiche

    Le rendite passive non sono altro che i guadagni generati senza il tuo intervento diretto, in modo periodico e prevedibile, completamente slegate dal tuo tempo.

    Per avviare il motore delle rendite passive però, è necessaria una spinta iniziale, come un informatico che sviluppa l’architettura di un software e poi lo lascia vivere di vita propria, intervenendo saltuariamente per apportare delle migliorie.

    Alcuni esempi di entrate passive sono:

    • un affitto mensile versato dal nostro inquilino;
    • le royalties provenienti dalla vendita di un libro o dal diritto d’autore;
    • il pagamento dei dividendi delle azioni in nostro possesso.

    È proprio su quest’ultima voce che ci soffermiamo in questo approfondimento: i dividendi azionari.

    Mentre in questo articolo potrai approfondire alcuni metodi per generare entrate passive

    Cosa sono i dividendi azionari

    L’investimento è innanzitutto fiducia. Fiducia nella potenzialità di un’azienda, e fiducia nella crescita di valore e fatturato. Per questo motivo alcune aziende decidono di ripagare la fiducia degli azionisti “staccando” loro una ricompensa periodica, che viene appunto chiamata dividendo. 

    Possiamo affermare che il dividendo sia una quota degli utili di una società che viene corrisposta agli investitori. Acquistare un’azione da dividendo significa partecipare attivamente alla crescita di una società, sia dal punto di vista dell’incremento del valore azionario, sia agli utili del suo esercizio.

    I dividendi azionari possono essere di due tipi: in contanti o in azioni.

    Come facilmente avrai già capito, la prima tipologia prevede un pagamento di una somma di denaro in base alla partecipazione del tuo investimento, la seconda invece prevede il conferimento di una percentuale azionaria, sempre correlata con l’entità del tuo investimento, una o due o quattro volte l’anno.

    Cosa c’entrano le entrate passive con i dividendi azionari

    Domanda sciocca, penserai. Noi di Moneysurfers crediamo che i dividendi azionari siano uno dei migliori strumenti per generare un’entrata passiva, periodica e prevedibile direttamente sul tuo conto bancario, senza il minimo impegno di tempo ed energia, se non la scelta iniziale.

    Una o due o quattro volte all’anno, le migliori aziende da dividendo elargiscono un bonus in percentuale sul tuo conto bancario, il più delle volte già al netto della tassazione per non dovertene nemmeno preoccupare con il commercialista.

    Per investire con i dividendi azionari da professionista, dai un'occhiata a DIVIDENDS PRO Boost.

    Perché qualcuno dovrebbe darti una rendita passiva

    Mica tutte le società quotate staccano dividendi periodici! E allora perché solo alcune decidono di farlo? Ci sono diversi fattori da considerare.

    Generalmente, i dividendi sono un buon sintomo circa la salute finanziaria della società stessa, poiché rappresenta un residuale dell’utile di esercizio. Essendo in ottima salute un’azienda sceglie la strategia dei dividendi per attirare investitori e aumentare anche il valore azionario. Al tempo stesso, alcune aziende in profonda crisi provano la strategia dei dividendi per fare incetta di capitali e tentare di risanare le casse vuote. Per questo bisogna saper selezionare le azioni giuste.

    Le aziende maggiormente strutturate e mature sono più propense a corrispondere i dividendi, poiché devono reinvestire meno utile nella crescita, d’altro canto, le aziende in fase di startup hanno fame di utili per alimentare la loro crescita e la produzione, per cui sono meno propense ai dividendi.

    Riassumendo, l'azienda sana e in utile ha due strade percorribili: condividere una quota dei guadagni con gli investitori e al tempo stesso diventare più appetibile per lo stesso motivo, oppure reinvestire completamente i guadagni per crescere maggiormente e diventare più appetibile attraverso la crescita del valore azionario.

    Quali sono i vantaggi di questa tipologia di investimento

    Il metodo più rapido e potente per accelerare la nostra ricchezza materiale è senza dubbio il “fare impresa”. Nessuno strumento d’investimento serio potrà mai dare i ritorni, in termini di sostanza e velocità di accumulo, che può dare una buona idea imprenditoriale messa a terra a dovere.

    Vero, ma non è semplicissimo creare un’impresa di successo e soprattutto richiede la totalità del nostro tempo e ogni sforzo possibile per la sua affermazione.

    E se fosse possibile fare l’imprenditore col popò degli altri? Ecco, le dividend stocks, sono le azioni che in automatico sganciano nel conto corrente una parte degli utili distribuiti dalle aziende di successo.

    Queste azioni hanno una calendarizzazione precisa per i loro payout, per questo è possibile strutturare l’investimento in modo che ogni mese o due incassiamo una quota come se fosse un affitto, senza tutte le seccature che la proprietà di un immobile porta con sé.

    Quali sono i rischi

    I dividendi sono periodici, ma non sono garantiti. Spesso le società indicano la quota dell’utile (il payout) che intendono distribuire in un ipotetico piano triennale, ma non sono tenute a rispettarla, come invece succede nelle obbligazioni.

    A seconda delle circostanze, gli utili potrebbero essere utilizzati per ripianare delle eventuali perdite, fare investimenti o aumentare il patrimonio societario.

    Investire in azioni da dividendo può essere altamente remunerativo, ma richiede conoscenza del mercato e qualche dritta sulle azioni migliori da acquistare.

    Forse ti farà piacere sapere che Moneysurfers ha organizzato un corso unico e gratuito sulla migliore strategia per investire nei dividendi azionari. Per conoscerla, non ti resta che iscriverti qui sotto.

    Commenti


      Che gli investimenti responsabili e i fondi ESG ormai siano sulla bocca di tutti, è certo. Li raccontiamo dal 2013 e molto è cambiato da allora.

      Come spesso abbiamo spiegato, l’investimento in fondi ESG non è la soluzione a tutti i mali: non è perfetto, anzi è soggetto a grandi greenwashing e approssimazioni, ma è importante spiegare che non solo si può investire in maniera etica, responsabile, ambientalmente e umanamente evoluta, ma questa modalità dovrebbe diventare l’unica possibile.

      Siamo arrivati ad un punto cruciale: l’ESG - che per chi ancora non lo sapesse è l'acronimo di Environment (ambiente), Social (sociale) e Governance (la trasparenza con cui si dirige una azienda) - è la nuova star totale e globale, con centinaia di miliardi di raccolta. Ne parlano tutti, e tutti ci si sono buttati a capofitto.

      Insomma, i fondi ESG sono diventati un fenomeno mass market. Ci mancano solo i reality show: dopo starlet, artisti e cuochi, ora anche gli investitori responsabili.

      Ma è giunto il momento di rendere le cose più serie.

      Esatto: fino ad ora, quello ai fondi ESG non è stato un approccio serio, ma più un approccio di marketing. Non ci sono criteri univoci per valutare un’azienda in termini di impatto ambientale, sociale di governance e spesso le aziende stesse non forniscono dati a sufficienza. E alla fine, uno rigira i numeri come vuole, per risultare più luccicante e verde. Non è greenwashing, ma poco ci manca.

      Non stiamo dicendo che l’ESG è una truffa, ma ora che è un fenomeno di massa e ampiamente compreso, bisogna aggiustare i suoi meccanismi.
      Cosa c’è che non va quindi nei fondi passivi e attivi, ETF e non, che si fregiano dell’acronimo ESG?

      Che sono pieni di tech company, che non sempre sono le prime delle classe in quanto a impatto ambientale.

      Per esempio, noi investiamo nel nostro fondo pensione nell’ETF MSCI SRI WORLD, un ETF ESG che investe nell’azionario mondiale. Come insegniamo nei nostri corsi, quando si compra qualcosa bisogna vedere e comprendere in cosa si investe. Ed ecco qua cosa c’è dentro questo fondo: tante tante aziende tech, che andando a scavare in tutti gli etf con dentro la parolina ESG, troviamo e ritroviamo. Diversi emittenti, stesse azioni.

      Attenzione, non c'è nulla di male su questo fatto. Ma in un affascinante rapporto pubblicato dal capo reparto Quant di BofA, Savita Subramanian, intitolato "10 sorprese sull'S & P 500 per la Giornata della Terra" per commemorare la Giornata della Terra, c’è la scoperta che potrebbe essere la sorpresa più grande di tutte:

      "La tecnologia è uno dei settori più sopra ponderati dai fondi ESG, ma riteniamo che abbia alcune delle più alte emissioni indirette tra le industrie di servizi".

      Per provare questa affermazione Subramanian ci spiega che esistono diversi “scopi” di emissione: dirette, oppure consequenziali.

      Secondo l'EPA, le emissioni di Scopo 3 sono il risultato di attività provenienti da risorse non possedute o controllate dall'organizzazione che redige il bilancio. Le emissioni dell'ambito 3 includono tutte le fonti che non rientrano nei confini dell'ambito 1 e 2 di un'organizzazione. Le emissioni dell'ambito 3 per un'organizzazione sono le emissioni dell'ambito 1 e 2 di un'altra organizzazione. Le emissioni di Scopo 3, denominate anche "emissioni della catena del valore", rappresentano spesso la maggior parte delle emissioni totali di gas serra di un'organizzazione.

      Se per esempio la tua azienda utilizza internet massivamente, inquina.
      A livello di inquinamento diretto potresti essere il primo della classe: tutti lavorano da remoto, tutti con i pannelli fotovoltaici. Ma puoi dire la stessa cosa dei fornitori a cui ti appoggi per produrre il tuo valore?

      Dove sta il problema? Che persino nei regolamenti e protocolli della stessa EPA, ovvero l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente, non viene chiesto alle aziende di valutare le loro emissioni di terza categoria.

      Le emissioni di tipo 3, infatti, non sono sotto il controllo dell’azienda, cionondimeno l’azienda stessa può influenzare la propria catena del valore al fine di ridurle, questo innescherebbe un vero circolo virtuoso.

      Se veramente abbiamo capito che la natura siamo noi e che siamo tutti connessi, non possiamo far vedere che abbiamo l’orto florido e fregarcene di cosa fanno le aziende che ci aiutano a renderlo tale.

      Viviamo ancora nell’era dell’egocentrismo, facciamo le cose per il nostro tornaconto personale, perché il mercato ci premia, ma non abbiamo ancora una vera spinta ad un movimento comune e sinergico atto a risolvere un problema così pressante.

      Se negli ultimi 5 anni abbiamo spinto per far conoscere il movimento del business karmico e degli investimenti etici, ci vedrete sempre di più combattere per renderlo migliore.

      La fase 1 è completata, ora la fase 2 deve iniziare.

      È la più difficile, ma anche quella più potente, quella dove le cose si fanno seriamente. Non basta essere sensibilizzati, bisogna essere attivamente coinvolti, tecnicamente preparati e pronti a modificare la nostra cultura e approccio all’azienda.
      Uno dei movimenti che più incarna questo ideale è sicuramente quello delle BCorp e crediamo fortemente che solo un approccio sincero e trasparente possa portare a risultati concreti; e quando parliamo di concreti parliamo della sopravvivenza del pianeta.
      Esagerati? Crediamo proprio di no.

      Scopri il nostro corso Ethical ETF, Il corso step-by-step per imparare a gestire il proprio patrimonio in completa autonomia investendo in fondi a basse commissioni e in armonia coi propri reali obiettivi di vita.

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