FIRST TAG DISPLAYED HERE 21 marzo 2018 2 minuti di lettura

In Danimarca chi rimane in ufficio fino a tardi è un ritardato

Scritto da Moneysurfers

    Il lavoro, per come lo viviamo, è rimasto uguale per decenni.

    Pensaci: un capo che ordina, un dipendente che esegue. Un orario da rispettare, una sveglia che la mattina suona, una pausa pranzo e la voglia che arrivino le 6 per potertene andare a casa e farti gli affari tuoi.

    Lavoro = dovere. Noia, costrizione, inscatolamento.

    Non è scritto nella roccia che debba essere così. Se in Giappone si muore per il troppo lavoro, in Danimarca essere l’ultimo a lasciare l’ufficio la sera è visto come un segno di stupidità.

    Noi da che parte vogliamo stare? Ci sono tante questioni irrisolte che peggiorano il nostro rapporto col lavoro. Ecco come sopravvivere in questa giungla.

    SOCIAL MENTRE LAVORI, ANCHE SÌ

    La guerra ai social. Ogni azienda vuole cavalcarli, ma fatti beccare a starci sopra durante l’orario di lavoro e molto probabilmente non ci farai una bella figura.

    Perché le aziende sono sui social ma impediscono ai dipendenti di usarli? Sono strumenti che spesso vengono elogiati e odiati a corrente alternata, ma raramente compresi e utilizzati al pieno delle loro possibilità.

    Oggi il 46% delle persone afferma che i social li ha resi migliori nel lavoro e il 37% sente che sfruttandoli meglio potrebbero generare un impatto positivo sul lavoro.

    No, social non significa solo video di gattini e foto delle vacanze. Significa anche strumenti quali Workplace (sviluppato da Facebook) o Slack.

    ADDIO AL PRESENTEISMO

    Oggi sei stato in ufficio un’ora in più, ma se domani arrivi 5 minuti in ritardo vieni cazziato. Il mito del presenteismo aleggia asfissiante in più di una realtà aziendale. E’ quella lezione che dovremmo imparare dalla Danimarca: stare troppo tempo in ufficio non è uno status symbol.

    Ma c’è una buona notizia. Stanno arrivando i robot, e i robot non arrivano mai in ritardo. Dove li metti stanno, per quante ore vuoi. Voler competere su produttività ed efficienza è una sfida che nel prossimo futuro siamo tutti destinati a perdere. Se non vogliamo che l’intelligenza artificiale ci rubi il lavoro, dobbiamo invertire il mantra: da produttività a creatività.

    Ma cosa ostacola la creatività? Per esempio essere in un ambiente in cui non possiamo sentirci liberi di far vagare la nostra mente, di pensare, senza che qualcuno intorno a noi pensi che “stiamo cazzeggiando”, e che ciò sia negativo.

    Questa costrizione genera in noi ansia e depressione. Mentre lasciare la nostra mente libera di andare a zonzo è il segreto per essere creativi. Il presenteismo uccide la creatività. In un altro articolo abbiamo fornito un’alternativa radicale, chiamata workation.

    ADDIO ALLA PENSIONE

    Lo diciamo da un po’, il mondo accelera. Le nuove generazioni hanno tutta un’altra prospettiva sulla vita, la carriera, la pensione.

    Si sente spesso parlare di millenial. I giovani nati tra gli anni ’80 e i ’90, che si spostano con una velocità quasi schizofrenica da un lavoro all’altro e che fanno dannare i datori di lavoro per tenerli in azienda. La verità è che l’aspettativa di vita si alza e la pensione scompare. Presto la nostra vita lavorativa andrà dai 18 agli 80, e negli uffici si troveranno a lavorare persone di età molto diverse, con diverse idee sul lavoro.

    Questa è una situazione che può generare conflitti, ma può essere anche una grande opportunità di arricchimento per le aziende. Imparare a gestire e gratificare le nuove generazioni significa interpretare il presente e avere più chance di comprendere il futuro. Una grande sfida a riguardo è comprendere che gli orizzonti temporali di un ventenne o trentenne non sono quelli di un cinquantenne. Difficilmente accetterà un lavoro che non lo gratifica quasi immediatamente, nel sogno di una buona pensione dopo una trentina d’anni. 

    IL SEGRETO DELLA HOLDING UMANA

    Cos’hanno in comune Jeff Bezos, Martin Luther King e David Bowie? Che erano tutti “multitasker in slow motion”.

    Una studiosa chiamata Bernice Eiduson negli anni ’60 ha iniziato una ricerca durata poi più di vent’anni, nella quale ha dimostrato che i più grandi scienziati non dovevano il loro successo a un’alta specializzazione, bensì alla capacità di cambiare ambito di interesse non 2-3 volte nell’arco di una vita (come è la norma), ma 43 volte nel corso della propria carriera.

    È come la rotazione delle colture. Passare dai pomodori alla lattuga, invece che impoverire il terreno, lo fertilizza, lo rinnova.

    Aziende quali Fedex oggi incoraggiano i propri dipendenti a cambiare dipartimento, in modo che possano misurarsi con ambiti diversi e mettersi alla prova costantemente, imparando sempre cose nuove e non fossilizzandosi su una nicchia.

    Senti che il settore dove ti sei infilato ti sta soffocando? Studia, fai un passo di lato. Impara a fare qualcosa che non hai mai fatto. La conoscenza è potere. Questo, come i punti precedenti, ti farà sopravvivere al lavoro.

    Alla prossima onda.

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